Parrocchia
MARIA REGINA MUNDI
Nichelino (To)
interno chiesa

MARTIRI DELLA FRATELLANZA

12 febbraio 2017

Omelia di don Mario del 12 febbraio 2017 - testo tratto dalla registrazione, non rivisto dall'autore

Letture: Sir 15,16-21; Sal 118; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Dobbiamo smettere di uccidere, dobbiamo smettere di essere degli assassini, dei falsi, dei bugiardi, dobbiamo smettere di tradire…
Le parole di Gesù devono entrarci così in profondità da non credere che di omicidio si parli solo quando c’è un cadavere lì per terra, ma tutte le volte che nel nostro cuore lasciamo che l’aggressività prorompa contro qualcuno, per divorarlo, per sopprimerlo o semplicemente credendo che non valga nulla.
Il nostro cuore, dice Gesù, è complicato, pieno di contraddizioni, ci sono luci ma ci sono anche abissi profondi che possono spaventarci. Gesù ci dice questo perché sa quali sono le potenzialità vere che in quegli abissi sono nascoste e che siamo chiamati a realizzare soprattutto per avere custodia gli uni degli altri.
Qui c’è in gioco la relazione con le altre persone e la paura che le altre persone siano contro di noi, una minaccia. Io tendo a squalificare qualcuno per farmi spazio perché altrimenti è come se non ci fosse abbastanza di che mangiare per me.
Tradisco perché non mi sento compreso e perché voglio trovare la strada facile per accaparrarmi un bene e per ridurre quella persona a un "non senso" ad una cosa che possiamo eliminare.
Dico il falso perché non riesco a sostenere anche la leggerezza della mia esistenza e preferisco fare una sorta di rassegna stampa di me poco credibile.
Ieri sera abbiamo condiviso un momento di ritiro con i ragazzi della 5^ elementare e 1^ media e i loro genitori… quando ho detto “Non uccidere, non dire bugie, non tradire...”, una bambina mi ha detto “Eh, insomma, non dobbiamo essere cattivi!”.

Ma cosa vuol dire “essere cattivi”?

Cattivo vuol dire “prigioniero”… si usa infatti per gli animali che sono in gabbia: sono tenuti in cattività.
Noi siamo cattivi ogni volta che il nostro cuore si trova imprigionato, in gabbia, non nel suo spazio naturale, perché noi non siamo fatti per essere prigionieri delle nostre passioni, delle nostre paure, della nostra rabbia, della nostra tristezza. Così i Padri della Chiesa dicevano “la tristezza è la prima causa del peccato”, quando sei triste sgomiti, ti lamenti, qualcuno si mette nella posizione di chi giudica tutto e si rassegna al fatto che niente può essere cambiato.
I primi cristiani per definire le persone che si facevano sedurre dal peccato usavano l’espressione “captivi diavoli”… un'espressione latina che vuol dire “prigionieri del divisore”. Il diavolo è qualcuno che vuole dividerci, vuole dividere il nostro cuore, lo vuole fare in frantumi, lo vuole spezzettare, vuole dividerci tra di noi, renderci ostili, perennemente in conflitto.
Il peccato ci disgrega, ci seduce e ci divide.

Noi abbiamo bisogno di sentirci ispirati dalla potenza di bene che il Signore ha riversato nei nostri cuori. E allora anche oggi vi racconto una storia, un incontro.
Vi racconto una storia drammatica eppure straordinaria, una storia in cui degli uomini hanno accetto di NON DIVIDERSI, solo per sopravvivere, dimenticandosi degli altri.

“Quest’anno ricorrono i 20 anni dal martirio avvenuto a Buta in Burundi.
Il Burundi è un piccolo stato nel centro dell’Africa. Sembra un piccolo paradiso terrestre, verde, con tanti animali, con un bel clima…
In Burundi c’è stata una guerra terribile durata più di 10 anni e ancora oggi ci sono delle tensioni. La guerra in Burundi e in Ruanda ha portato la morte di più di un milione di persone. Tutti cristiani! Quasi tutti cattolici! Uno dei paesi africani che è stato fra i primi evangelizzati totalmente. Anche preti e Vescovi e coinvolti nell’eccidio. Sono i paesi dell’Occidente che, in un paese così ricco, hanno voluto mettere le loro bandierine e schierandosi chi con gli Hutu, chi con i Tutsi, con i loro eserciti, hanno suscitato un odio etnico terribile.
In mezzo alla foresta, in un seminario minore, dove c’erano dei ragazzi dai 14 ai 20 anni, un rettore aiutava questi ragazzi delle due etnie a riconoscere che in Cristo era possibile vivere la riconciliazione e così loro maturavano un’esperienza profonda di adesione al Vangelo.

30 aprile 1997 – ore 5.30 del mattino – una truppa dei miliziani di una delle due fazioni entra nel dormitorio, c’erano lì 80 ragazzi. Entrano e dicono “Voi della nostra parte spostatevi, avrete salva la vita! Gli altri saranno ammazzati”. Ma questi ragazzi dicono: “No, noi siamo tutti fratelli”. Avevano appena finito il ritiro di Pasqua e cantavano “Davvero Dio è buono e noi l’abbiamo conosciuto”. Per la seconda volta, i miliziani, insistono: “Se non vi spostate subito, verrete tutti ammazzati”. E loro non accettano.
Comincia la mattanza: vengono ammazzati 40 ragazzi.
Dei quattordicenni hanno avuto la fermezza morale di non scappare. Di rimanere. Anche chi poteva salvarsi la vita è rimasto lì. Sono arrivati al seminario di Torino, tre di questi ragazzi sopravvissuti, feriti, con menomazioni. Sepolti sotto i cadaveri sembravano morti ed invece erano vivi.

(leggi anche QUI la storia)


Di questo è anche capace il cuore dell’uomo, pur nelle sue fragilità.

Quel luogo è diventato un santuario per il Burundi. Nella chiesa di Buta c’è un murales con dipinto Gesù, al centro, con i ritratti di questi 40 ragazzi in vesti bianche accanto a Lui.
Erano persone speciali? No! Erano come noi… Non ve lo sto raccontando perché erano persone speciali, erano come noi, cristiani, con le loro contraddizioni.
Noi siamo pieni di contraddizioni, dobbiamo accettarlo non facciamo della coerenza un mito. E’ inutile, in nome della coerenza noi diciamo bugie, perché non ci piace ammettere che abbiamo sbagliato allora diciamo le bugie per sembrare irreprensibili, integri. Quella non è coerenza, è dissimulazione.

Qui non c’è in ballo l’essere persone speciali, ma essere persone che vivono nelle loro contraddizioni ma che cercano una Sapienza che viene dall’alto.